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Padre Enzo Fortunato: «Identità e apertura, la forza del presepe»

Inserito da (redazionelda), martedì 3 dicembre 2019 11:24:04

di padre Enzo Fortunato

La stella cometa e il suo cielo, pastori, fornai, bambini, "tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l'evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero". È così che nasce la tradizione voluta da Francesco d'Assisi che a Greccio nel 1223 volle rappresentare "il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello".

Due tra tanti aspetti emergono dall'iniziativa di Bergoglio: identità e inclusività o apertura. Un'iniziativa accompagnata dalla visita in un luogo fortemente simbolico e da una Lettera. Ciò per rendere forte quello che vuole dirci. Una specie di sottolineatura in rosso.

Fare il presepe nelle scuole, nelle case, nelle strade è quindi affermare la propria identità, la propria fede nel Figlio di Dio. Una tradizione che va di padre in figlio e che va alimentata di anno in anno. Una tradizione che tiene uniti grandi e piccoli, vicini e lontani. Ricordo ancora oggi quando da bambino aspettavo con ansia questi giorni per poter realizzare con i miei genitori e i miei fratelli il presepe. Rivivo ancora oggi l'emozione, la gioia, la spiritualità e la pace che provavo.

Facciamo il presepe, facciamolo ovunque: nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze. È il segno che il Natale, la "festa delle feste" (come veniva chiamato da san Francesco), è vivo dentro di noi. Fare il presepe è anche apertura. Quella grotta, infatti, non ha una porta chiusa, ma aperta a tutti. Proprio i Magi venuti dall'Oriente ci dicono che è luogo d'incontro, di accoglienza, di relazioni non solo tra culture diverse, ma tra poveri e ricchi, tra santi e peccatori e soprattutto tra chi sogna e cerca un mondo a misura di Vangelo, a misura d'uomo...

Alcune considerazioni per il Natale, "il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato a un seno umano", le traggo anche da una poesia di Salvatore Quasimodo:

"Guardo il presepe scolpito,

dove sono i pastori appena giunti

alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti

salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio

delle figure di legno: ecco i vecchi

del villaggio e la stella che risplende,

l'asinello di colore azzurro.

Pace nel cuore di Cristo in eterno;

ma non c'è pace nel cuore dell'uomo.

Anche con Cristo, e sono venti secoli,

il fratello si scaglia sul fratello.

Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino

che morirà poi in croce fra due ladri?".

Un testo che, partendo dalla scenografia del presepe, conduce passo dopo passo ciascuno di noi a raggiungere i personaggi, a raggiungere il cuore e infine a lasciarci raggiungere dall'interrogativo, dalle domande che suscitano per chi le accoglie la "svolta".

Un percorso, questo, che vorremmo vivere anche noi, per far sì che il tempo natalizio diventi anche il tempo di grazia. Un percorso per orientare il nostro cammino di viandanti un po' stanchi, di viandanti con il peso dei propri limiti, di viandanti che cercano il Senso vero della vita tra tanti non sensi. Di viandanti che spesso smarriscono la loro strada per ritrovarla continuamente e gustare le gioie vere, quelle che non lasciano l'amaro in bocca.

Quasimodo arriva a sottolineare come ci sia ancora un fratello che si scaglia contro il fratello; come ci sia ancora un pianto non ascoltato. Vogliamo sottolineare i versi del poeta, aggiungendo che con san Francesco è possibile ascoltare quel pianto, è possibile la pace del cuore, se iniziamo ad avere uno sguardo nuovo che ci permette di scorgere nel volto del fratello il volto di Cristo.

E se anche quel volto fosse sfigurato, in questo Natale vogliamo prendere in mano non l'arma del giudizio, ma quei primi panni poggiati ai piedi della greppia, per aiutare i nostri compagni di viaggio a lenire le ferite, ad asciugare il volto. E scopriremo la tenerezza di Dio celebrata da Francesco. Scopriremo la tenerezza di Dio vissuta con i nostri gesti. È la nostra umanità che si trasforma in presenza di Cristo.

Fonte: Il Vescovado

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