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Cronaca

Cava de' Tirreni, Nola, Covid

Covid, l'esperienza del vescovo Beniamino Depalma: «Al Cotugno ho scoperto la forza dell’uomo nella malattia»

L'alto prelato, cittadino onorario di Cava de' Tirreni, ha raccontato sui social la sua esperienza con il Covid-19: «Il virus lascia segni che durano a lungo, che accompagnano a lungo»

Inserito da (redazioneip), mercoledì 28 luglio 2021 09:11:21

«Il racconto della mia esperienza di malato di covid-19 non può che iniziare con un appello, generato dal ricordo stesso di quei giorni: vorrei lanciare un appello ai giovani, il virus c'è ancora, continua a camminare nelle nostre città, nelle nostre famiglie, fa vittime, c'è e rientra nella vita quando meno te l'aspetti e quando entra ti rovina l'esistenza, non solo sul piano fisico ma anche su quello psicologico e spirituale». Sono le parole di monsignor Beniamino Depalma, Vescovo emerito di Nola.

L'alto prelato, cittadino onorario di Cava de' Tirreni, ha raccontato sui social la sua esperienza di malato Covid, per due mesi ricoverato al Cotugno in terapia intensiva e ora a Telese per una lunga riabilitazione: «Il virus lascia segni che durano a lungo, che accompagnano a lungo. [...] Ho sperimentato la solitudine, mi sono mancati i volti, non potevo chiamare nessuno; non bastava la presenza degli operatori sanitari che non erano visibili ma coperti dalle tute, dalle visiere e dalle mascherine: io avevo bisogno di un volto.

Il virus ti fa fare l'esperienza di chi subisce un furto in casa, è come un ladro che entra e ruba tutto: mi sentivo un uomo derubato delle realtà più belle della propria vita, credevo di essere al capolinea e che mi sarei presentato a Dio senza essere accompagnato dal volto di qualcuno, da una mano che mi infondesse coraggio.

Poi nei messaggi e nelle telefonata che arrivavano e cui non potevo rispondere ho iniziato a vedere l'annuncio di speranza, la presenza del Signore che dava risposta al mio grido e riempiva la mia solitudine.

Mi ha risposto il Signore, ma mi ha anche educato ad accogliere la mia debolezza ma soprattutto a riconoscermi fragile: anche rispetto al virus mi ero comportato con superbia.

Al Cotugno, dove sono stato ricoverato quasi due mesi, ho riscoperto l'essenzialità della vita, la bellezza di cose semplici, come il respiro: quando avevo il casco in testa come sentivo il bisogno di aria!

E a Telese, dove sono per la riabilitazione, ho scoperto la forza dell'uomo nella malattia, forza che dipende tantissimo dall'aiuto e dalla presenza di chi ti circonda.

E anche la presenza di Dio fa la differenza: un Dio che non ti lascia solo, che mantiene le sue promesse.

Così come non ti lascia solo Maria: in quei giorni al Cotugno avevo difficoltà a pregare: l'unica preghiera che riuscivo a recitare era il rosario perché avevo bisogno della mamma, avevo bisogno della sua presenza.

Oggi il covid mi ricorda il dolore del cammino fatto- ho ancora difficoltà di concentrazione, a pensare e riflettere, resta la paura e l'incubo te lo porti dentro - ma anche la crescita. Anche il mio servizio nell'annuncio è cambiato: ho scoperto un nuovo volto di Dio, il volto della speranza che non voglio smettere di annunciare».

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Fonte: Il Portico

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