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La mostra

Santa Trofimena negli scatti di Giuseppe Proto

Il 5 novembre a Minori

Inserito da (redazionelda), giovedì 1 novembre 2018 16:13:34

di Bruna Autuori

Giunge dal mare Santa Trofimena, divina come la terra che l'accoglie: la Costiera amalfitana. Sguardo profondo e salvifico, mediterranea nei lineamenti, germanica nei colori, porta con sé il mistero delle acque, la Santa giunonica e rassicurante, bionda e paffuta come la Venere di Botticelli. È donna guerriera che regge la croce come a volerne mostrare il trionfo. La regge nella mano destra, in un gesto naturale di benevola ostentazione, la stessa di chi ha appena sconfitto le tenebre, emergendo da un fondale marino imperscrutabile.

C'è chi la vede con gli occhi di un curioso turista, chi la vede con gli occhi commossi del fedele, chi la vede, invece, attraverso l'obiettivo di una macchina fotografica, da pittore che approda all'arte della fotografia. Giuseppe Proto si lancia così nel tentativo di cogliere, di Santa Trofimena, l'aspetto umano che la lega al territorio che l'accoglie. È la Santa raccontata attraverso i gesti della gente, le vite che a lei si ispirano, come per effetto di un amore incondizionato e inconsapevole.

È la fede vissuta nella ciclicità del rito, raccontata attraverso la fotografia come ritratto di una città di mare, Minori, in un meridione amatissimo. Storie di ordinaria tradizione, direbbe qualcuno, in cui la fede, quella folcloristica, poco ha a che fare con la divinità. Eppure, quando l'elemento religioso si intreccia a quello leggendario, mitico, il risultato è un quadro dal sapore partenopeo dall'indiscusso valore antropologico.

Se proprio non riusciamo ad apprezzarne il lato religioso, perché ci risulta difficile aderire a quel preciso stile di fede, fatto di rappresentazioni terrene che si allontanano dal concetto di spiritualità nel senso più universale del termine, dobbiamo pur fare i conti con un sentire popolare, antico e vitale, il cui cuore pulsante batte in un territorio di indiscutibile bellezza. E proprio quel sentire ci arriva dalle immagini di Giuseppe Proto, nel tentativo di cogliere, di Santa Trofimena, proprio quei dettagli universalmente godibili anche ad occhi critici e scettici di non credenti.

Come le mani, ad esempio.

In uno scatto infatti una mano di donna, forse moglie, madre e nonna, si accinge a prendere petali di rose, quei petali che di lì a poco cadranno a pioggia sulla Santa, la Santa dea delle acque che porta al suo seguito un ricco stuolo di fedeli che avanzano fieri e silenziosi, come apostoli, trovatori di tesori, pescatori di anime devote. Attraversa le strade di un presepe vivente, dove, a fare da padrone, c'è sempre lui: il mare. E Giuseppe Proto la immortala, la Santa patrona, con l'occhio di giovane commosso, come a imitare la scena di un addio. Malinconia e gioia insieme, che portano alla gola l'emozione di una partenza. Storie di vita vissute attraverso una divinità, storie di genti e popoli in un ciclico viaggio verso la salvezza.

In un altro fermo immagine, fiduciosa esce dall'obiettivo la mano di un'anziana donna, in un cono di luce che punta dritto alle reliquie, si fa tutt'uno con esse e l'argento che le accoglie, in un gesto di estrema dolcezza, che per un attimo dimentichi che sei lì per Santa Trofimena. È così universale quel tendere di mano verso un qualcosa di salvifico, che lo scatto sembra non avere tempo. In che anno siamo? E se non a Minori, potremmo immaginare di essere in qualsiasi altra parte del mondo, dove anche chi non è cattolico, riuscirebbe certamente a percepire la sacralità del gesto. Canuta, ma non effimera, è la speranza di chi quasi si aggrappa all'argento vivo di una cornice, come ci si aggrappa al frutto di un albero in procinto di coglierlo.

E ancora le mani che reggono croci quotidiane, le mani che producono ricchezze inestimabili, le mani che lavorano, le mani che dal di qua dell'umano, sfondano l'intoccabile dimensione di un aldilà, in un michelangiolesco protendere verso il divino. Gesto di per sé tipico della tradizione cattolica, che ci vede protagonisti di peregrinazioni in cui possiamo baciare i piedi e le mani del santo, come allo scattare della mezzanotte del 24 dicembre di ogni anno, baciamo i piedi nudi del bambino di Betlemme. La statua immobile diventa, per un giorno, la raffigurazione umana e tangibile del miracolo che si compie. L'umano e il divino, uno di fronte all'altro, l'uno l'avatar dell'altro, in uno scambio terreno di anime in cammino.

Fonte: Il Vescovado

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