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Il mondo dell'arte dice addio a Cosimo Budetta

Inserito da (redazionelda), mercoledì 17 gennaio 2018 13:49:35

di Sigismondo Nastri

La notizia me l'ha data, di primo mattino, Adriano Paolelli. Maledetto mercoledì 17, ho esclamato. Cosimo Budetta è morto. Sapevo che era malato, lo vedevo sofferente già da tempo. Per un lungo periodo ci siamo incontrati, quasi ogni giorno, nel negozio-laboratorio di Adriano, vicino casa mia. Poi le sue uscite son diventate sporadiche, sempre più rare, fino a quando non è stato costretto al ricovero in ospedale. Ne ho seguito il calvario tenendomi costantemente informato.

Di Cosimo mi vien subito da ripetere quello che scrissi alcuni anni fa. Se fosse vissuto in altra epoca avrebbe fatto il miniaturista. Lo immaginavo, e non so dire perché, a decorare, nel silenzio di un monastero, antichi manoscritti. Forse per una certa sacralità che intravedevo nel suo incedere, nel suo interloquire, resa più solenne dalla barba brizzolata. Per la sua straordinaria capacità di mettere penna su carta tracciando immagini suggestive, chiare, precise. Aveva sempre dei minuscoli cartoncini in tasca, pronti a recepirne l'estro, l'ispirazione. Mi convinsi ancor più di questo quando visitai una sua mostra allestita presso l'Archivio di architettura contemporanea in via di Porta Elina a Salerno. Cento acquarelli alle pareti, piccolissimi, realizzati su raffinato supporto cartaceo. Quasi a comporre altrettante pagine di un unico libro, con un appena percettibile filo conduttore: una storia non da raccontare esplicitamente ma da offrire alla immaginazione, alla fantasia. Cavalli rampanti, tori, uccelli, segni zodiacali, ma anche esplosioni stellari, aurore boreali, tempeste tropicali, e così via. Con un disegno tagliente, deciso - a "punta di coltello", mi verrebbe da dire -, con linee intersecate (il titolo della mostra era "Intersezioni") a formare triangoli, trapezi, facendogli scivolare dentro il colore, luminoso e vibrante nelle sue svariate sfumature: di volta in volta, rosso, turchese, verde, giallo, blu, bronzo. Con chiazze di bianco tratte dalla carta stessa.

Ma non disdegnava di eseguire dipinti di grandi dimensioni, soprattutto nel periodo di soggiorno nella quiete di Agromonte, in Basilicata. Non trascurabile neppure la sua attività di poeta. Mi riesce difficile dire se, in quel caso, era la poesia a far da supporto ai disegni o viceversa.

Budetta amava giocare come se la pittura fosse per lui - certo che lo era! - un puro e semplice divertissement. Ma, nello stesso tempo, e soprattutto, lucidissimo esercizio di tecnica, virtuosismo, inventiva, rielaborazione e sintesi di un lungo percorso, compiuto in Italia e fuori, tale da meritargli l'apprezzamento di personalità del livello di Gillo Dorfles (per citare il più anziano e il più autorevole). Anche questo, esercizio di poesia. Senza mai adattarsi alle mode, e neppure al mercato. "Un artista assolutamente singolare - così lo definì Mario Lunetta, intellettuale lucido e impegnato, morto il 7 luglio dell'anno scorso -, che si muove da maestro sia nelle grandi dimensioni pittoriche e scultoree che nella ceramica e negli spazi esigui della pagina a stampa". Questo consentiva a Cosimo di esprimersi in assoluta libertà: in tutte le manifestazioni della sua personalità. Nella ideazione e realizzazione di preziosi, quanto introvabili, "libri d'artista" (ne ha fatto uno anche per me), in comunione con gli esponenti di maggiore spicco del mondo letterario nazionale, che sono veri capolavori. Dove i disegni, irridenti, graffianti, fanno pendant con filastrocche, scioglilingua, accostamenti di parole surreali o grottesche.

A condizionarlo, forse, è stato solo il carattere schivo, lontano da ogni forma di mondanità. E' questo che lo ha sottratto agli onori della ribalta. Eppure, in un passato che lo aveva visto attivo a Milano e in Olanda, era riuscito ad attirare su di sé l'interesse e l'apprezzamento di intellettuali, poeti, artisti, critici e scrittori come Bruno Munari, Edoardo Sanguineti, Paolo Ruffilli, Giorgio Luzzi, Franco Loi, Gerardo Pedicini, Tullio De Mauro, Gillo Dorfles, Carmine De Luca, Stefano Bartezzaghi. Salerno lo ha tenuto ai margini delle attività artistico-culturali. Nemo propheta in patria. Peccato!

Fonte: Il Vescovado

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