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Commemorazione Caduti, sindaco Minori: «Da guerre escono tutti sconfitti, edificare ponti non muri»

Inserito da (redazionelda), lunedì 5 novembre 2018 10:19:59

«Nell'anniversario della fine della prima guerra mondiale non siamo certamente qui per celebrare una guerra. E nemmeno si tratta di celebrare una vittoria, perché da una guerra escono sconfitti tutti, e quella che formalmente è una vittoria si rivela in realtà una tragedia collettiva. Tanto più se, come nel caso della partecipazione italiana al conflitto 15/18, si trattò di una guerra decisa da un ristretto potere economico e politico ma pagata dal popolo in termini di sofferenze, lutti e devastazione». Sono le parole del sindaco di Minori Andrea Reale pronunciate ieri sera nella Basilica di Santa Trofimena nel giorno della commemorazione dei Caduti di guerra in occasione del centesimo anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale e vigilia dei festeggiamenti in onore della Santa Patrona, alla presenza del sindaco di Patti Giuseppe Mauro Aquino con la delegazione siciliana al seguito.

«Milioni di morti, di feriti, di amputati, di invalidi permanenti, di famiglie distrutte, di comunità smembrate, di esseri umani privati degli affetti e del senso stesso della vita, oltre alla rovina dell'economia e delle istituzioni: è questo il quadro di quella che è definita, paradossalmente, una "vittoria" militare. Credo di poter dire che non siamo qui per celebrare questo, e che anzi si debba prendere atto di come tutto questo abbia poi innescato drammi ancora più immani, come il fascismo e il secondo conflitto - ha proseguito il primo cittadino -. Più che per una celebrazione, dunque, quello cui siamo chiamati è una riflessione, una riflessione profonda sulla responsabilità di scelte che trovino radice nel passato per scongiurare il ripetersi di simili tragedie nel presente. Il sacrificio e il dolore che hanno colpito l'Italia nei suoi ceti più umili, nell'ingenuità di servire il proprio paese per una nobile causa, devono ricevere di più che un riconoscimento rituale. Bisogna invece che ci facciamo carico di costruire una società aperta, che includa appunto chi soffre, bisogna che ci adoperiamo a edificare ponti e non muri, a costruire la pace invece che l'odio, l'ostilità e la diffidenza, come purtroppo sembra prevalere al giorno d'oggi proprio qui in Italia, nonostante un passato difficile come quello che il nostro popolo ha vissuto.

Il modo più sano per onorare i caduti della guerra, quindi, penso che sia l'impegno che prendiamo qui oggi noi tutti a lavorare concretamente per la pace, consapevoli che la pace è tale soltanto se ha per base la giustizia, perché dove non c'è uguaglianza, dove convivono povertà e ricchezza, dove non si rispettano gli esseri umani in quanto tali, lì non può esservi che pacificazione apparente, destinata prima o poi ad erompere in nuove tragedie. E' la solidarietà il senso più vero di una comunità, quel sostegno reciproco che i suoi membri si danno spontaneamente l'un l'altro, ed è affermata solennemente dalla nostra Costituzione, che resta il frutto migliore generato dal sacrificio e dal sangue profuso nelle due guerre mondiali. Quella Costituzione che ci richiama infine al ripudio della guerra, proprio perché ha elaborato la storia e ne ha tratto un insegnamento definitivo: che al di fuori della giustizia e della pace nessun uomo mai sarà libero, né alcuna società potrà esistere e progredire, né la vita sarà perciò un bene irrinunciabile e degno d'essere vissuto. L'armonia, la bellezza, la pace siano pertanto la guida del nostro agire quotidiano, perché dalla guerra e dai suoi orrori l'umanità intera sia finalmente liberata».

Fonte: Il Vescovado

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