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Costa d’Amalfi: riconvertire la silvicoltura per creare nuove convenienze

Inserito da (redazionelda), venerdì 17 gennaio 2020 10:04:34

di Raffaele Ferraioli

Gli eventi calamitosi che hanno interessato il territorio della Costa d'Amalfi nelle scorse settimane sono a dir poco preoccupanti e impongono una rinnovata attenzione al fenomeno del dissesto idrogeologico della nostra area.

La fragilità dei versanti, soprattutto di quelli incombenti sui centri abitati e sulle strade, si ripropone in termini drammatici e fa temere una ulteriore recrudescenza del fenomeno in tempi brevi.

Di fronte a rischi di tale portata non basta limitarsi a curare gli effetti, bisogna eliminare le cause. Ripristinare, risanare, bonificare, stabilizzare sono verbi da coniugare con grande determinazione, ma ciò non basta. Il problema non si risolve ricorrendo al rocciatore, bensì coinvolgendo l'economista. Urge ritrovare gli equilibri compromessi dal monoteismo turistico, ricostruire la "convenienza perduta" che ha causato la fuga del "contadino volante" dai terrazzamenti agricoli pur faticosamente realizzati nel corso dei secoli. Il processo di dissesto è causato proprio dal progressivo spopolamento dei fondi agricoli, con conseguente mancato presidio e cessata manutenzione degli stessi.

Che fare? Riconvertire, forse. Creare nuovi comparti produttivi maggiormente remunerativi, meno faticosi e più rispondenti alle mutate esigenze socio economiche della società civile globalizzata. Costruire nuove convenienze. Offrire nuove opportunità per invogliare soprattutto le nuove generazioni a riappropriarsi degli stili di vita e dei modelli esistenziali dei loro padri e dei loro nonni.

Una prospettiva nuova e interessante di riconversione e di rilancio della silvicoltura, qui da noi storicamente legata all'agricoltura e basata sulla produzione di pali per i pergolati dei vigneti e degli agrumeti, potrebbe essere l'arboricoltura da legno con latifoglie di pregio.

In linea con gli orientamenti della politica agricola comunitaria, questa coltura potrebbe dare una nuova destinazione produttiva a terreni da tempo abbandonati, incolti, sempre più invasi da sterpaglie. Il tutto con investimenti piuttosto contenuti, buone prospettive di reddito, salvaguardia del valore dei suoli.

C'è da tener conto che gli anni di attesa del ricavo finale non sono pochi e che le cure colturali richiedono la diffusione di precise competenze per poter realizzare a regola d'arte le pratiche di allevamento vegetale.

Occorre preliminarmente conoscere le esigenze della domanda, selezionare le specie in funzione delle condizioni pedo-climatiche, garantire il rispetto del paesaggio naturale e di quello antropizzato, avviare un "progetto" che includa un'attività di formazione e di assistenza tecnica, nonché adeguate misure di incentivazione finanziaria. Per questo è auspicabile ricondurre ad un unico centro di coordinamento (Comunità Montana, Gal, Parco dei Monti Lattari, Distretto Turistico?) le diverse attività, dopo averle concordate e condivise.

Perché non provare?

Fonte: Il Vescovado

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