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Lettere alla redazione

Ravello, illuminazione centro storico non efficiente: disattenzioni che provocano sprechi

Inserito da (redazionelda), martedì 24 novembre 2015 18:32:01

di Salvatore Sorrentino

Ed ecco lo squallore.

Riprendo la via del ritorno dai giardini del Municipio. Seguite bene.

Davanti al Palazzo Confalone troviamo una bella lampadina, del pubblico impianto, potente, che illumina bene l'ingresso al palazzo. Poco più avanti un'altra potente lampadina, che, però, fa le bizze: a volte è accesa, a volte si spegne, da sola, lasciando nella quasi totalità all'oscuro tutta la parte antistante alle arcate del Giardino Principessa di Piemonte.

Una breve parentesi: ma è proprio necessario chiamarlo ancora con questo nome? Non voglio battere ancora sul tasto concernente il grande, immane, danno e il male che i "piemontesi" e i "savoiardi" hanno fatto a noi meridionali, tanto che ne paghiamo ancora le pene, e che pene, e senza poter prevedere per quanto tempo ancora.

Però, una cosa mi sembra per lo meno anacronistica. Un'Amministrazione Comunale, di parecchi decenni addietro, eliminò un anacronismo: Via Emanuele Filiberto, duca d'Aosta fu cambiata in Viale Wagner. Ne restano ancora due a Ravello: questo belvedere (immaginate il nome "Giardino del Toro") e il monumento di Piazza Fontana, che non so quanti ravellesi conoscono chi rappresenta e perché. Chiusa parentesi.

Guardo all'interno del giardino: la più totale oscurità. Volevo non entrare, per non disturbare qualche eventuale coppietta di fidanzatini che stessero là sognando. Sennonché, mi accorgo che un fascio di luce illumina sufficientemente una striscia di giardino, lato mare. Entro, attraverso l'oscurità e raggiungo la ringhiera.

In quel momento ringrazio, in cuor mio, la proprietà del Palazzo Sasso: il fascio di luce che illuminava (e illumina) la piccola parte del giardino proviene da un bel fanale posto su un balcone dell'ultimo piano del palazzo. Grazie signori Avino.

La vergona ravellese mi appare dopo. Mi avvio a uscire e mi accorgo che al mio fianco c'è un buco nel terreno, dal quale esce un lieve chiarore. Mi guardo intorno e vedo, in fondo, a sinistra, altre due lucine fioche fioche; mi ricordavano i lumini che si accendevano al cimitero fino a tutti gli anni sessanta del secolo passato.

Un po' incuriosito, mi avvicino e trovo uno spezzone di tubo, forse di plastica, da cui usciva il chiarore. Ancora più incuriosito, mi accosto e vedo il fondo di questo tubo leggermente rischiarato e, soprattutto, pieno di fogliame e terriccio. Mi abbasso e comincio a togliere questo fogliame e questo terriccio dal pezzo di tubo. Improvvisamente mi scotto le dita: sul fondo del tubo, protetto da una spessa lastra di vetro, un potente faro.

Altro denaro pubblico sperperato. Ho capito che quel tubo doveva essere sormontato da un coperchio di vetro che lo proteggeva e che non è altro che un faro che dovrebbe illuminare i cespugli e i fiori del giardino. Purtroppo l'incuria e l'irresponsabilità dell'ente proprietario, cioè, per quanto io ne sappia, la locale Azienda di Turismo, fa consumare pubblico denaro anche per il consumo di energia elettrica e la manutenzione non effettuata.

Il peggio, però, doveva ancora avvenire. Le due "lucine fioche fioche" più su menzionate, non sono che altri due di questi fari. Ho potuto notare che questi altri due sono coperti, come prevedevo, da coperchi di spesso vetro. Però, anche questi non funzionanti, forse stavolta per eccessiva sporcizia, semplice sporcizia. Non ho voluto riprovare, per paura di ulteriormente scottarmi le dita. Ancora altro, e doppio, stavolta, denaro pubblico sperperato.

Pensa il lettore che sia finita? Nooooo. Mi viene, in quel momento, il dubbio che, a chiudere il quadro, doveva esserci, simmetricamente, un quarto faro. Vado a cercare. È proprio come temevo: un quarto faro, stavolta completamente atterrato, senza coperchio. Stavolta non posso dirvi se dentro la luce è accesa! Tanta è la sporcizia che lo riempie.

Nemmeno, però, caro lettore, la rabbia è finita. Uscendo, sulla mia sinistra, fra l'erbetta che copiosa cresce sotto il parapetto degli archi, noto un filino di luce, che, col movimento dei fili d'erba mossi dalla brezzolina serale, assomigliava molto alle lucciole del mese di maggio. Di una volta.

Mi avvicino e cosa scopro? Con la punta delle scarpe, scosto l'erbetta, trovo una superficie liscia, strofino, la scarpa emette un fumo e un puzzo di bruciato e viene fuori un bel faretto che dovrebbe illuminare l'arco sovrastante. Analogamente scopro un secondo faretto, completamente oscurato, illuminante, si fa per dire, l'altro arco. Che sperpero! Per la realizzazione dell'impianto, per il consumo, completamente inutile, di energia elettrica, per la manutenzione, pagata e non effettuata.

Proprio per finire, vedo un faretto illuminante verso il cielo. Luce debole, fa niente; il problema è che ce ne sono altri due, rivolti verso le chiome degli alberi: completamente spenti!

Caro lettore, anche stavolta non riesco a completare; anche stavolta non intendo tediarti. Completerò appena ci sarà la disponibilità di spazio. Giuro.

Fonte: Il Vescovado

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