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Inserito da Raffaele Ferraioli (redazionelda), lunedì 18 maggio 2015 14:02:26
di Raffaele Ferraioli
Il napoletano non è un dialetto ma una lingua con precise regole grammaticali e di pronuncia. Nel nostro parlato le parole perdono le finali e diventano più dolci, più musicali.
La loro etimologia è quasi sempre nobilissima e affonda le radici nel greco, nel francese, nello spagnolo, nel latino. Esistono, addirittura, dei codici fissi di traduzione dalla lingua di Roma antica alla nostra.
Per esempio la FL latina diventa SC in Napoletano: Flos , floris = sciore; flatus = sciato; flumen = sciummo, fluens fluens = sciuè sciuè e così via; la PL diventa CH: planta = chianta; planus = chiano; pluit = chiove; la P seguita da due vocali si trasforma in doppia C: apium = accio; sepia = seccia; sapio = saccio.
La parola francese "boite" è buatta, sarviette sta per tovagliolo, accatta' deriva da "acheter".
Guappo viene dallo spagnolo "guapo" e sta per bello. Palomma è "paloma" e chi più ne ha più ne metta.
Può essere interessante approfondire certe differenze fra la nostra lingua e quella di Dante Alighieri anche se in maniera non esaustiva.
‘O ‘i lloco sta vicino a te, ‘o ‘i ccanno sta con me, ‘o ‘i llanno sta lontano da entrambi.
Appiccica' non è incollare, ma litigare. Trica' è fare tardi. Sciulia' è scivolare.
‘O sfaccimmo, al di là del significato spermatozoico del termine, è uno che ci sa fare, così come ‘o figlio ‘e ‘ndrocchia è un ragazzo intelligente, dotato di cazzimma.
Abbuccato non è solo abbattuto, qualche volta è cchiu' a llà che ‘a 'ccà.
Un pochettino è ‘nu pesturillo. Troppo non è mai troppo ma troppe assaje.
‘Nzallanuto non è rimbambito ma stordito, a volte incantato.
Spaparanzato è aperto, che più aperto non si può.
Il sangue è ‘o sango e spesso se jetta, per eccesso di lavoro o per imprecazione.
Voi giocate soltanto, nuie jucammo e pazziammo. Voi entrate nuie trasimmo.
Stevemo scarze è un saluto di benvenuto, sia pure particolare. Più maliziosamente salutame a soreta è di commiato. ‘A maronna t'accumpagna e figliu mio statteaccorto è quello materno.
Ascoltatemi è dateme aurienza. E' capace significa può darsi.
‘ A capera è la pettinatrice ambulante del vicolo, dotata di pettine astritto per la caccia a ‘e perucchie, i vostri pidocchi.
‘O chiochiaro è un tonto di media statura, se in vece è luongo luongo è gliogliaro, se è curto curto è pachiochiaro.
I vostri bambini piangono, i nostri picceano.
Palomma non è colomba, ma farfalla, anche quando è ‘e notte.
‘A cummara e ‘o cumpare sono la madrina e il padrino, ma anche gli amanti segreti.
‘O vaso non è solo un contenitore o un portafiori, ma è soprattutto il bacio.
Ti amo è meno intenso di te voglio bene. Famme chello ca vuo' è la dichiarazione d'amore più bella in assoluto e più tipica di un innamorato arrendevole, sempre disposto, a farsi maltrattare, indifferentemente.
‘A zuzzimma è il lerciume, e non ha niente a che vedere cu ‘e zzizze.
La gioia, la contentezza è ‘a priezza. Lieve mano è un invito a desistere.
Votte ‘e mmane incita a darsi da fare. Indugiare perdendo tempo è ‘ntalliarse.
Tenì mente è guardare. Tenì a mente è ricordare: una semplice vocale cambia tutto!
Fare l'occhiolino è zennia'. Inveire è scacatia', gridare come ‘na sandraglia.
Abbiamo il verbo più corto del mondo: i'. Se te ne devi andare te ne ‘a i'.
A Milano pioviggina, a Napoli schizzenea e dopo poco stracqua, ovvero smette di piovere.
Voi rotolate, nuie ruciuliammo, voi inciampate, nuie ndruppecammo, voi schiacciate, nuie scamazzamme, voi cadete, nuie ‘nce scapezzammo.
Le feci...'e ffaciette. Farò è faciarragge, ma da noi il futuro è un tempo pressoché inesistente.
Arraggiato è arrabbiato ma anche avaro, egoista, tirchio.
Quando mangiamo e beviamo a volontà nce facimmo ‘n' ora ‘e notte.
Facciamo presto è facimme ampressa, l'amplesso è un'altra cosa.
Voi andate piano . Nuie jammo chianu chianu, o meglio cuonce cuonce.
Anche perché ‘a jatta pe ghi' ‘e pressa facette ‘e figlie cecate.
Fonte: Il Vescovado
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