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Abu Tabela, storia, Agerola

Abu Tabela, Sigismondo Nastri ricorda l'afghano di Agerola

Abu Tabela si distinse per una ferocia incredibile: tanto da indurre ladri e briganti a squagliarsela. Quelli che riusciva a catturare venivano squartati, gettati dall’alto dei minareti o impiccati

Inserito da (Maria Abate), mercoledì 25 agosto 2021 18:57:13

di Sigismondo Nastri (nella foto)

Ho letto da qualche parte che le mamme afghane, per tenere calmi i figliuoli, adoperano (più o meno) questa espressione: "Fa' il bravo, sennò chiamo Abu Tàbela" [con l'accento sulla prima a], storpiatura del cognome Avitabile. Su un sito web leggo, invece, che Abu Tabela vuol dire "Padre Tabela" e resto alquanto perplesso. Il pensiero va subito alle nostre madri (mi riferisco, ovviamente, alla mia generazione, quella di un ultraottantenne), che ci tenevano buoni con la minaccia di chiamare l'uomo nero o il "mammóne", immaginato come un essere mostruoso.

Questo Abu Tabela, che ancora è capace di incutere terrore in Afghanistan, dove di paura si vive ogni giorno [già nel 2008, quando fu scritto questo post], era Paolo Crescenzo Martino Avitabile, nato ad Agerola il 25 ottobre 1791. Appartenente a famiglia agiata, e amante dell'avventura, si era arruolato giovanissimo nell'esercito borbonico col grado di cannoniere, per passare poi nelle file napoleoniche agli ordini di Gioacchino Murat, meritando encomi e anche una medaglia. Caduto Napoleone a Waterloo, scelse di imbarcarsi per l'oriente per porsi al servizio del re di Persia. Questi gli affidò un compito delicato: costringere i Curdi a pagare le tasse. Avitabile ci seppe fare talmente bene che si guadagnò la promozione a colonnello e addirittura - con una iniziativa del tutto personale - a generale. Passò, quindi, alla corte di Ranjit Singh, maharajà sikh del Punjab (stato nel nord-ovest dell'India), che lo nominò governatore della città di Peshawar.

Abu Tabela si distinse per una ferocia incredibile: tanto da indurre ladri e briganti a squagliarsela. Quelli che riusciva a catturare venivano squartati, gettati dall'alto dei minareti o impiccati. Fece tagliare le cime dei minareti della moschea di Mahabat Khan per agevolare il lavoro di chi era addetto a scaraventare giù la gente. Gli stessi cittadini benestanti subirono angherie e torture: un modo per estorcere loro danaro. "Freddo, gentile, compassato - ho letto da qualche parte -, usava alzarsi da tavola tra una portata e l'altra per ‘ristorarsi' assistendo brevemente a qualche tortura". Quando, nel 1839, gli inglesi organizzarono l'invasione dell'Afghanistan, fecero leva sulla sua collaborazione.

In cambio gli consentirono di trasferire le centinaia di migliaia di rupie, che aveva messo da parte, presso la Banca d'Inghilterra. Al ritorno in Europa, nel 1843, si recò prima a Parigi per essere insignito della Legion d'onore, poi a Londra, dove fu ricevuto dal duca di Wellington, il vincitore di Napoleone a Waterloo, già primo ministro di Sua maestà britannica. Stefano Malatesta, il giornalista di Repubblica che nel 2002 ha dedicato un bel saggio a questo "napoletano che domò gli afghani", gli riconosce doti politiche finissime.

Tra i tanti regali che Avitabile portò da Londra ad Agerola vi furono un torello, due vacche gravide e una vitella di razza Jersey, dalla quale ottenne, grazie a un abile lavoro di incrocio con le razze presenti sul territorio (in particolare, la Bruna e la Podalica), la mucca denominata "Agerolina", ora in via di estinzione (ma è in atto un progetto per salvarla), che dà latte di qualità eccezionale, utilizzato dalle aziende casearie locali per la produzione del "fior di latte" e del famoso "provolone del Monaco". Avviò la costruzione di un imponente castello, mai completato, su una roccia a strapiombo sul mare. Si adoperò, con la sua autorità, per far trasferire Agerola dalla provincia di Salerno a quella di Napoli. Cosa che avvenne nel 1844. Non fu una operazione commendevole, perché staccò quel comune dal comprensorio di appartenenza, la Costiera amalfitana. Oggi sono in molti coloro che vorrebbero instaurare un processo all'incontrario.

Morì il 28 marzo 1850, a cinquantanove anni. Era giovedì santo e stava mangiando del capretto arrostito servitogli dalla nipote non ancora ventenne, da lui sposata nella speranza di mettere al mondo un erede. Complice l'amante, garzone di farmacia, la ragazza - così si racconta - decise di liberarsene, aggiungendo una buona dose di veleno alla ghiotta pietanza. Una lapide lo ricorda "Luogotenente-Generale / Cavaliere della Legion d'Onore / Dell'Ordine di Merito di San Ferdinando di Napoli / Dell'Ordine Durrani dell'Afghanistan / Grande cordone del Sole e dei Due Leoni e della Corona di Persia / Dell'Ordine dell'Auspicio del Punjab / Uomo di onore e gloria senza paragoni".

(da: mondosigi, 1.10.2008)

Leggi anche:

Da Furore a San Lazzaro c'è il sentiero di Abu Tabela: uno spettacolo oltre il sussurro del tempo

Fonte: Positano Notizie

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