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La Carta d'Amalfi tra storia e attualità: al Museo di Via delle Cartiere si rivive la magia del passato

Inserito da (ilvescovado), domenica 19 marzo 2017 13:23:17

Di Maria Abate

Non dovrebbe essere una tappa culturale soltanto per i turisti il Museo della carta di Amalfi, ma un luogo in cui, specialmente gli abitanti del posto, dovrebbero immergersi almeno una volta nella vita. C'è la nostra storia in quella cartiera del XIII secolo. Una storia che è ancora palpabile tra i vari marchingegni che davano vita ad una carta che, se inizialmente impiegò non poco tempo a sopraffare la costosissima pergamena (ci mise il suo anche Federico II che nel 1220 ne proibì l'utilizzo per gli atti notarili in quanto meno duratura di quella membranacea), poi divenne prestigiosa e fu richiesta in tutta Italia. Perché se entri al Museo di Via delle Cartiere ritrovi la magia di una volta: ci sono i magli chiodati mossi da mulini a propulsione idraulica che riducevano in poltiglia gli stracci di lino, cotone e canapa, c'è il telaio di vergelle e filoni che si immergeva nel tino a dare una forma al "pisto" (l'impasto di stracci, acqua e calce) e imprimere gli stemmi in filigrana, c'è il torchio in cui i fogli venivano impilati e sottoposti a pressione. E tutto questo grazie agli arabi, la cui presenza è ben attestata ad Amalfi e in tutta la Costiera e ha lasciato tracce ancora visibili in alcuni monumenti e persino nella lingua che parliamo (zucchero e cotone sono termini di derivazione araba, per fare un esempio). Furono proprio gli arabi a portare l'arte della carta in Italia; poi gli amalfitani, abili mercanti, seppero perfezionarla e sfruttarla al meglio.

La carta di Amalfi è espressione della storia del nostro territorio: di altissima qualità nei tempi floridi della Repubblica Marinara, in calo durante i secoli in cui a prevalere politicamente fu il vicino Principato di Salerno. In tempi di crisi, si pensò più alla quantità che alla qualità, nonostante i tentativi dei vari governatori di tutelarne il prestigio. Con il tempo nacquero nuovi centri di produzione di carta in Italia: il graduale aumento dell'alfabetizzazione e, di conseguenza, della richiesta di libri portò gli stampatori a preferire supporti meno costosi: più concorrenza per le strutture amalfitane. Nel Settecento il passaggio dalla manifattura alla fabbrica venne mal recepito dalle cartiere costiere e molte, a causa di questa mancata "industrializzazione", finirono per chiudere i battenti. Ad acquisire le innovazioni tecniche del periodo furono soltanto la fabbrica Del Pizzo a Tramonti, quella Gambardella a Minori e quella Lucibello ad Amalfi, ma senza particolare successo. La penuria di stracci e il ricorso a materiali di qualità inferiore per poter continuare a produrre rendevano la carta di Amalfi sempre più scadente. A poco valsero i tentativi della politica napoleonica di difendere i prodotti locali dalla concorrenza estera (il dazio del 1809 di immissione per la carta straniera, che voleva scoraggiarne l'importazione, e le solenni esposizioni delle manifatture allestite ogni anno a Napoli, alle quali i cartai amalfitani partecipavano malvolentieri, perché come spiegava l'allora sindaco di Maiori Raffaele Paolillo «i Proprietari non furono indennizzati»). Nel 1810, nella vicina Napoli, i imprenditori transalpini (i Beranger) impiantarono la prima cartiera con macchine olandesi di ultima generazione. Una concorrenza che spodesta definitivamente il primato amalfitano.

Una storia quella della carta d'Amalfi che ancora affascina e che dev'essere sempre ricordata perché è anche grazie ad essa che la Costa ha il suo prestigio. E così, se la cartiera Amatruda continua a far rivivere il ricordo della carta d'Amalfi, producendone una assai simile a quella storica, richiestissima per le cerimonie e i documenti ufficiali, la cartiera Milano è stata adibita a Museo e può essere visitata tutti i giorni dalle 10 alle 18,30. La visita guidata, della durata di 15-20 minuti circa, include la possibilità di assistere dal vivo alla realizzazione di un foglio di carta di Amalfi e di vedere gli antichi mulini ad acqua funzionanti grazie alla potenza del torrente Canneto.

Fonte: Il Vescovado

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