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Il sanguinaccio che non c’è più

Inserito da (redazionelda), domenica 11 febbraio 2018 18:15:59

di Sigismondo Nastri

Del suino, si dice, si utilizza tutto, ed è vero. Anche il sangue che viene raccolto coagulato. Lo si consuma in genere soffritto con la cipolla, buono anche per condire la pasta. In Francia e in Belgio ho mangiato il boudin, che è un insaccato con sangue di maiale, aromi e spezie. Molto gustoso. Una volta - mi riferisco sempre ai miei tempi – il sangue del maiale veniva raccolto liquido (bisognava agitarlo bene, ancora caldo, ad evitare che formasse grumi) proprio per la preparazione del sanguinaccio.

Nel 1992 questa pratica è stata vietata. Il sanguinaccio che vendono ora le pasticcerie, fatto col solo cioccolato, è un falso. O un surrogato. Non è la stessa cosa. Quello vero era il dolce tipico del Carnevale. E, prima ancora, nel Seicento, anche del periodo natalizio. Veniva considerato boccone reale, soprattutto se ricevuto in regalo. Nel Settecento lo si faceva in questo modo: «Si mescoli il sangue di porco sciolto con panna di latte, grasso e cervella di porco trite, cedro ed arance candite trite, cioccolata grattugiata, spezie e poco zucchero. Mescolato tutto, se ne empiono le budella del porco in maniera che non crepino, nel cuocerle, e si mettono in una marmitta con acqua fredda a cuocere, condendola di foglie d’alloro, sale, e cannella in stecchi. Cotto si faranno in essa raffreddare, e quando si hanno da servire si faranno riscaldare sopra una graticola con carta sotto unta di butirro».

Ai primi dell’Ottocento, Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, ne descriveva così il procedimento: «Piglia no rotolo de sango de puorco (con reverenza parlando) e de chillo tanno scannato, e pecché chesto subitamente se quaglia, l’aje da manià co le mmane per nne levà la spogna; po nge miette na libbra de ceccolata cotta a decotto denzo, miezo ruotolo de zuccaro fino buono macenato, doje grana de cannella fina, no grano de garofano fino, meza libbra de cetronata, e n’auta meza de cocozzata ntretata, meza libbra de mostacciuolo pestato, miette ogne cosa dint’a na cazzarola, e co na cocchiara vôta sempe, comm’avisse da fa la crema; quanno s’è astregnuto, lo miette a capo comm’a na sopressata, t’arraccomanno de no lle ffa tanto chiena, ca pecché se schiattano nsarvamiento de chi nge sente, l’attacca nfaccia a na mazzarella, e chesta appesa dinto a na caudara d’acqua vollente, e farai côcere no poco pecché s’hanno da cocere lle stentine; po’ li lieve, e lli mmiette dinto a no ruoto co no poco de nzogna, pe farle ngroscà, e accossì se magne lo sanguinaccio1 ». Solo per conservarne la memoria storica, riporto qui la ricetta che mi fu data tanti anni fa dalla Pasticceria Pansa di Amalfi, in particolare dal carissimo amico Gabriele, il cui ricordo è sempre vivo in me. Ricetta di un dolce che era squisitissimo, da leccarsi i baffi.

Ingredienti: 1 litro di sangue di maiale liquido, defibrinato, passato per lo staccio in modo da eliminare qualche grumo residuo; 1 litro di latte fresco intero; 1 kg. di zucchero; 600 gr. di cioccolato fondente tagliato pezzetti; 50 gr. di cacao amaro; 150 gr. di farina; 150 gr. di cedro; 150 gr. di uvetta; 100 gr. di pinoli; 1 bustina di vainiglia; 100 gr. di liquore Grand Marnier o Strega. Si mescola zucchero, farina e cacao aggiungendo poco alla volta il latte fino a formare un composto cremoso. Si completa l’impasto aggiungendo il resto del latte e il sangue di maiale, mescolando continuamente. Si mette a cuocere a fuoco moderato e, appena caldo, si aggiunge il cioccolato. Togliere dal fuoco subito dopo che ha raggiunto l’ebollizione. Una volta che il sanguinaccio così preparato si è ben raffreddato, vi si aggiungono i pinoli, il cedro tagliato a dadini, l’uvetta. Vi si versa il liquore (ovviamente la quantità indicata in 100 grammi può variare, a seconda della densità che si desidera ottenere) e la vainiglia, mescolando energicamente. La preparazione del sanguinaccio a questo punto si può dire completata. Lo si deve solo predisporre in vassoietti, guarnendolo con pinoli e pezzetti di pan di Spagna. Chi non lo ha provato non può sapere quanto era buono.

tratto dal volume"'A cannarizia"

"‘A cannarizia", la grande tradizione gastronomica della Costa d’Amalfi raccontata da Sigismondo Nastri

Fonte: Il Vescovado

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