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Ricetta della tradizione: la liatìna, la gelatina di maiale

Inserito da (redazionelda), giovedì 1 febbraio 2018 12:18:48

di Sigismondo Nastri

Ho desiderio di liatìna. Ovvero, di gelatina di maiale. A casa mia, quando ero ragazzo, qualche volta la si preparava in tempo di carnevale. Più frequentemente ci veniva regalata da qualche vicino - penso in questo momento alla indimenticabile Mariettella De Riso – che aveva appena ammazzato il porco. Come anche il sangue (liquido) per il sanguinaccio. Ormai se ne sta perdendo la memoria. In passato la gelatina mi capitava di acquistarla da un macellaio a Minori. In epoca più recente, l’ho trovata anche a Maiori. Non so dire se è ancora reperibile. So che molti, a leggere la ricetta, storceranno il naso. Ma vi assicuro che è buonissima. Vediamo la preparazione.

Ci provo, ma il procedimento non è che me lo ricordi bene. Una cosa è certa: in abbondante acqua salata, insieme a foglie di alloro, si mette a bollire la carne: orecchie, muso, piede, coda, mascariello (cioè lo spolpo della testa) del maiale, dopo averla lavata ben bene e spelata. Si aggiunge aceto, preferibilmente, o vino. A cottura avvenuta (vale a dire, quando si stacca dall’osso), si tira su dalla pentola e si tiene da parte. Dal brodo, sia durante la cottura, sia a raffreddamento avvenuto, si elimina accuratamente, a cucchiaiate, tutto il grasso emerso e rassodatosi in superficie.

Si procede a disossare la carne e, dopo averla ridotta in piccoli pezzi, la si rimette nel brodo sul fuoco fino a quando il liquido non si restringe (più o meno un quarto rispetto alla quantità iniziale). Poi lo si lascia raffreddare. Ultima operazione: con un mestolo si versa carne e brodo in appositi contenitori (di solito, quelli monouso di alluminio) e si fa solidificare in frigo, cospargendo in superficie uvetta sultanina ammollata in acqua tiepida, pinoli, grani di pepe nero e decorando con una o due foglioline di alloro.

tratto dal volume"'A cannarizia"

"‘A cannarizia", la grande tradizione gastronomica della Costa d’Amalfi raccontata da Sigismondo Nastri

Fonte: Il Vescovado

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