Una frase di Volodymyr Zelensky ha fatto esplodere il confronto verbale tra Kiev e Mosca in vista delle celebrazioni del 9 maggio, anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista. Il presidente ucraino ha dichiarato: «Non possiamo garantire la sicurezza dei leader politici internazionali che saranno ospiti di Vladimir Putin a Mosca», riferendosi ai capi di Stato attesi per la parata militare, tra cui Xi Jinping e Lula.

Parole che il Cremlino ha immediatamente interpretato come una minaccia implicita. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, ha reagito su Telegram: "Zelensky dice di respingere la proposta di Putin per un cessate il fuoco di tre giorni in occasione del 9 maggio e afferma di non poter garantire la sicurezza dei leader mondiali a Mosca. Chi gli ha chiesto garanzie? È solo una provocazione verbale. Se ci sarà una vera provocazione nel Giorno della Vittoria, nessuno potrà garantire che Kiev arriverà al 10 maggio".

Poco dopo è intervenuto anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, sottolineando: "La proposta di tregua russa serve a testare la disponibilità di Kiev alla pace. Le loro risposte mostrano il volto neonazista del regime". Un’accusa che rientra nella narrativa russa adottata sin dall’inizio del conflitto.

Zelensky ha respinto anche la nuova proposta russa di tregua per l’8-10 maggio, definendola "troppo breve" per avviare qualsiasi serio processo di pace: "Non è possibile concordare nulla in tre, cinque o sette giorni. Non mi sembra una cosa seria", ha detto, rilanciando invece la richiesta di una tregua incondizionata di almeno 30 giorni.