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Dal “trave di fuoco” al bianco d'uovo: tradizioni, riti e superstizioni nel giorno di San Giovanni battista

Inserito da (redazionelda), sabato 23 giugno 2018 09:20:10

di Sigismondo Nastri

La festa religiosa di San Giovanni Battista, in calendario domani, si fonde - e si confonde - con tradizioni, superstizioni, pratiche esoteriche. Una mmescafrancesca di sacro e profano. Non so dire perché. Non mi ci sono applicato. Forse perché capita in un giorno particolare del calendario, il 24 giugno, subito dopo il solstizio d'estate, quando il caldo diventa più intenso.
Penso che sia la solennità in cui maggiormente sopravvivono antiche credenze pagane legate al ciclo della natura. Pochi forse ne hanno memoria. Faccio cenno qui soltanto ad alcune di esse, apprese al tempo dell'infanzia ad Amalfi.

Si diceva che nella notte tra il 23 e il 24 - la prossima notte cioè, che è la più breve dell'anno -, scendesse a mare, dal cielo, una trave di fuoco (‘a trave ‘e fuoco) per riscaldarne l'acqua. Ricordo che, quando ero bambino, attendevamo con ansia il giorno di san Giovanni perché solo allora potevamo cominciare i bagni a mare. Anche se costretti ad accettare la sofferenza della purga, con magnesia San Pellegrino, per ripulire l'intestino. Non ci si poteva ribellare. Prima di quel giorno non ci era concesso di mettere i piedi oltre la linea della battigia.

Poi c'era il rito del piombo, metallo tenero, duttile, malleabile. che veniva posto in un pentolino (attenzione: non di stagno) e messo a sciogliere sul fuoco. Operazione non difficile, considerato che la fusione avviene a una temperatura di 328 gradi. Dopo di che lo si riversava rapidamente in un secchio d'acqua lasciandolo lì fino al raffreddamento. Il metallo, ridiventando solido, assumeva strane forme alle quali si cercava di dare un significato. Se ne ricavavano addirittura oroscopi per il futuro. Ci ho provato pure io, qualche volta, negli anni dell'adolescenza. Era pericoloso, ci si poteva scottare, ma divertente.
Altra cosa che mi torna in mente è la tradizione della chiara d'uovo messa nell'acqua. A casa mia non si faceva. Eravamo bambini, c'interessava poco. Si versava il bianco d'uovo in un bicchiere - era sempre una ragazza a compiere questa operazione - e lo si metteva sul davanzale di una finestra per l'intera notte. Al mattino, dalla forma che l'albume aveva assunto - un po' come succedeva col piombo -, l'interessata traeva auspici sul proprio futuro... amoroso . Se trovava l'acqua coperta da bollicine voleva dire che era in dirittura d'arrivo un bel principe azzurro. Altrimenti non le rimaneva che armarsi di santa pazienza e aspettare l'anno successivo.

Nella notte di San Giovanni si raccoglievano (lo si fa ancora) le noci - ventuno, acerbe, bagnate di rugiada, col mallo verde - da mettere a macerare in un litro d'alcol per la produzione domestica del nocillo.
Infine, il sabba delle streghe - le janare [dianare, seguaci di Diana] - sotto il maestoso noce di Benevento, posto sulla riva del fiume Sabato. Luogo di incantesimi, di riti esoterici. Ci arrivavano da ogni dove, e in ogni condizione di tempo, finanche «sotto a ll'acqua e sotto ‘o viento, sotto a ogne maletiempo», dopo essersi unte di un unguento a base di erbe, volando a cavalcioni sul manico di una scopa di saggina. Il loro motto - palindromo, leggibile anche all'incontrario - era: "In girum imus nocte et consumimur igni" (In giro andiamo di notte e ci consumiamo nel fuoco).

Famose, in Costiera, quelle di Conca dei Marini e sembra proprio che ci andassero. Richiamate dai fantasmi di Erodiade e Salomè, due donne crudeli, ree di aver ammazzato il Battista, colui che annunciava la venuta del Cristo: e per questo - per espiare la loro colpa - costrette a vagare per il mondo, cariche di catene.

La storia delle janare m'incuriosisce. La notte prossima me ne starò affacciato al balcone, aspettando che ne passi qualcuna. Magari sarà pure carina, non credo che tutte le streghe siano brutte.

Fonte: Il Vescovado

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