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Il duro lavoro delle "Formichelle" della Costa d'Amalfi

Inserito da (redazionelda), mercoledì 11 dicembre 2019 18:37:20

di Sigismondo Nastri

Abitavo all'inizio della scalinata per Pontone, ogni giorno passavano di lì donne che trasportavano limoni, fascine, vino, carbone. Spesso si fermavano qualche minuto per prendere fiato, si rivolgevano a mia madre per un bicchiere d'acqua. Sono scene che mi sono rimaste bene impresse nella mente e nel cuore.

A proposito di queste foto, che l'amico Alfonso Buonocore, fornendole qui, affida alla memoria storica del territorio, cito un episodio. Alla conclusione della guerra 1915-18, nella lettera pastorale dal titolo "Dopo la vittoria", Mons. Ercolano Marini, affrontò il problema della dignità femminile in termini molto duri.

Era rimasto colpito da un album di fotografie ad uso dei turisti che ritraeva «donne portanti al collo lunghi barili e una verga in mano e sotto la scritta: "Costumi di Amalfi"». «O cari - invocò -, per il comune decoro, strappate quella pagina, che ci condanna e ci infama, mostrando ai più lontani ammiratori delle nostre naturali bellezze quanto ancora siamo indietro nelle vie luminose della civiltà». E aggiunse: «Pare che una condanna pesi ancora sulle donne dei nostri villaggi. Curve sotto inverosimili pesi, esse discendono alla valle per innumere multiformi scale sconnesse, per sentieri rocciosi, levigati dai quotidiani sudori di doglia, correndo per conservare l'equilibrio, e spesso cantando, quasi a mostrare che nello schiacciamento del corpo esse conservano l'anima libera a elevarsi a nobili sensi e a delicati pensieri. Ma vederle in quell'atteggiamento di spasimo, sentire il fiotto concomitante gli sbalzi della loro cadenzata discesa, commuove e genera la brama, che sorga un braccio a redimerle. Sono povere vecchiette, a cui il bianco crine non dà ancora il diritto di un pane tranquillo e di un onesto riposo; sono giovani madri, che i poppanti bambini per lunghe ore invano cercano con i sorrisi e con lacrimosi vagiti e non riànno se non defaticate e oppresse; sono soavi e innocenti fanciulle, condannate a camminare col capo verso terra, mentre dovrebbero tenerlo alto per raccogliere gli effluvi degli alberi e i baci del sole. Ignare delle conseguenze funeste, esse inconsapevolmente minano la propria esistenza. Al loro pesante lavoro deve ascriversi l'anemia così diffusa, la frequente tubercolosi, il tumore deformante, la precoce vecchiaia. Sminuite e schiacciate, non possono poi dare che una generazione debole e immiserita. Tessete la dogliosa statistica dei rachitici, degli storpi, dei mentecatti e, senza timore di errare, assegnatene la più grande parte di responsabilità al deprimente sistema, per cui la donna deve surrogare ancora la bestia da soma, dopo venti secoli di civiltà cristiana».

Un appello forte. Un grido di dolore lacerante che avrebbe dovuto smuovere le coscienze. Non successe nulla. Tutto continuò come prima.

Fonte: Il Vescovado

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