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Flusso di Coscienza

Una riflessione poetica e ironica sulla preghiera come specchio dell’anima

Klaus di Amalfi: «Pregare non è chiedere, ma lasciarsi modellare»

Nel suo testo “Quando prego”, Klaus di Amalfi trasforma la preghiera in un dialogo interiore, ironico e profondo, dove l’uomo non tenta di cambiare Dio ma sé stesso. Attraverso la “metafora dell’argilla”, la preghiera diventa un atto di ascolto e di trasformazione, un esercizio di umiltà e consapevolezza davanti allo specchio dell’anima.

Inserito da (Admin), mercoledì 22 ottobre 2025 11:55:00

"Quando prego"
È una riflessione poetico-filosofica sulla natura della preghiera, vista non come richiesta ma come auto-trasformazione.
Qui esprimo, con tono colloquiale e sincero, un pensiero teologicamente profondo.
L’uomo non prega per cambiare Dio, ma per cambiare sé stesso.
È un testo che tiene insieme ironia, introspezione e una sorta di confessione laica ma devota.

Ho messo in scena un dialogo interiore tra me e Dio.
Ma, con un ribaltamento, scopro che la preghiera non è un mezzo per piegare Dio, bensì uno specchio che mi rimanda la mia immagine e mi chiede di modellarla.
La "metafora dell’argilla" è la chiave di tutto: chi plasma chi?

Alla fine capisco che sono io l'argilla, e la preghiera è il gesto con cui mi lascio lavorare, lucidare, cambiare.
È un testo spirituale riferito con linguaggio contemporaneo e terreno, e il tono ironico ("sono allergico allo specchio!") serve a umanizzare l'ascesi, a evitare il moralismo.

Quando prego

di Klaus di Amalfi

Quando prego,
se pregassi davvero,
starei dando forma
a un’argilla.
Ma,
l’argilla di chi?
Di Dio?
O la mia?

Quando prego,
mi sto intrattenendo con Dio per dare forma a Lui?
Per fargli cambiare idea?
Ma questa regola non è prevista dal gioco.
Se tentassi
di fargli cambiare idea,
vorrebbe dire che Dio
può tornare sui suoi passi,
che può sbagliare,
che può correggersi.
E Dio
può mai tornare indietro?
Può cambiare idea?
No.
Non posso crederlo.
Allora, forse,
sono io che sbaglio strada.

Quando prego,
se prego veramente,
non vado in cerca dell'errore di Dio,
ma di qualcos'altro.
Perché nella preghiera
siamo solo in due:
Dio e io.

Non prego i santi.
Con loro
non amo perder tempo.
Quasi sempre
prego la Madonna.
Chi meglio di una Madre Santa può ascoltarmi?
Ma anche allora
mi devo chiedere:
di chi è l'argilla
che voglio plasmare?

E siccome
non sono scemo,
ho studiato,
e a scuola sono andato,
capisco che,
se Dio non cambia,
l'unica cosa
che può cambiare sono io.
Alla fine
è la mia argilla
che la preghiera lavora.
Se pregassi davvero!

Perciò, quando prego,
forse sono solo.
Perché ho capito che
è su di me
che devo lavorare.

Come chi,
davanti allo specchio,
si sistema il cappello,
aggiusta la maglietta,
controlla i colori
e cerca l’armonia.

Fuori da quello specchio
capisco che la preghiera
è cambiamento,
riguarda me,
non l'abbigliamento,
ma il sentimento.

Pregare è guardarsi dentro,
correggere
il proprio portamento,
riconoscere, ringraziare.
Pregare è stare
davanti allo specchio,
cercare di capire,
di essere attento,
di cambiare rotta
per miglioramento.

Ma quando prego,
ammesso che preghi veramente,
se alzo lo sguardo al cielo
mi accorgo che, in fondo,
sono un po'
allergico allo specchio.

E allora capisco che Dio non ha bisogno
delle mie parole,
ma del mio silenzio
che si lascia modellare.

Pregare non è chiedere,
ma ascoltare,
per cambiare,
per migliorare,
sforzarsi di amare,
disporsi
a prender nuova forma.
Pregare
è ritornare argilla.

Fonte: Il Vescovado

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