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Lucrezio, Roma, latino, letteratura, pace

Petere pacem: la lezione di Lucrezio

Il sogno lucreziano è quello di un benessere interiore collettivo, generato dalla fine delle guerre esterne ma anche dei dissidi interiori e dei beceri conflitti personali che affliggono l'uomo

Inserito da (PNo Editorial Board), giovedì 3 novembre 2022 16:46:54

Di Lorenzo Imperato

La pace è da sempre un desiderio dell'animo umano, un sospiro profondo, un grido che parte dal cuore di ogni uomo. Questa è la grande convinzione degli autori latini del periodo augusteo, da Virgilio, ad Orazio, ad Ovidio ed ovviamente a Lucrezio (precedente a quelli augustei ma antesignano della pax augustea), che, primo tra questi, parla di pace e di guerra.

Ognuno dei sopracitati poeti ha una considerazione diversa della pace ma per ciascuno essa rappresenta la massima aspirazione a cui l'impero deve concorrere.

Lucrezio, nella tetrarchia dei massimi poeti dell'età dell'Impero, dedica la conclusione del libro primo del "De rerum natura" proprio alla guerra ed alla pace. Implora Venere, detentrice dell'arma della seduzione, di persuadere Marte affinché conceda la pace al popolo di Roma. È la sola unica grande preghiera di Lucrezio, ateo convinto, che tuttavia si rimette in mano alla dea, "genitrice degli eneadi", ed in lei individua la sola entità in grado di ottenere la cessazione del dolore della guerra. Il poeta diventa promotore della preghiera di un intero popolo: munitosi di titanismo letterario, ha il coraggio di farsi portavoce delle suppliche dei romani presso Venere. Emblematico è l'utilizzo del verbo petĕre, appunto, che nel significato originale esprimeva l'azione di dirigersi verso. Lucrezio perciò immagina Marte accasciato sul ventre dell'amata Venere, mentre - completamente assuefatto dalla grazia della dea - pende dalla sua bocca e ascolta attentissimo qualsiasi cosa ella dica. Questo sarebbe stato il momento propizio per favorire la pace, per annientare i desideri bellicosi del dio della guerra, che, per amore, avrebbe accolto quella richiesta. Venere, dunque, dirigendosi verso Marte, avrebbe dovuto farsi garante delle richieste del popolo implorante, avrebbe dovuto dirigere l'impero verso la sospirata pace.

Grazie alla pace l'uomo potrà apprezzare le bellezze del mondo; per Lucrezio, infatti, il destinatario dell'opera Memmio potrà godere della lezione di sapienza offerta dal poema. La pace, però, a detta del poeta stesso, costa sempre fatica, come costa fatica esserne promotori, da qui il verbo pangere, derivato di pingere, che esprime tutto lo sforzo nello spingere lo stilo nella cera durante la scrittura. Poi il verbo conor, che indica i tentativi non sempre andati a buon fine, proprio come quelli dei costruttori di pace, che molto spesso si vedono chiudere le porte in faccia dai prepotenti promotori della guerra.

Il poema dedicato alla dea della pace, però, si conclude con un monito di speranza, quello che dopo tanto dolore, tanta sofferenza e tanto sangue versato, l'umanità ottenga finalmente la pace, un'oasi dove apprezzare le bellezze del mondo e della natura e cantarle prima che svaniscano. Il sogno lucreziano è quello di un benessere interiore collettivo, generato dalla fine delle guerre esterne ma anche dei dissidi interiori e dei beceri conflitti personali che affliggono l'uomo. Una pace totale, che nasca dal nostro cuore e possibile solo mettendo un freno alle paure inutili, agli stupidi desideri di vendetta, alle struggenti sofferenze interiori, figlie dei dispiaceri e degli amori non corrisposti.

Oggi dobbiamo essere noi, uomini del presente a raccogliere subito, senza più rimandare, il messaggio di lanciato da Lucrezio, per coltivare una vera speranza, il sogno di una pace duratura che parte dal nostro cuore e si estende a tutta l'umanità.

 

(In foto il Ratto delle Sabine di Nicolas Poussin, Roma 1637-38, conservato al Museo del Louvre)

Fonte: Il Vescovado

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