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Tu sei qui: Storia e Storie"Storia di un panico": Forster, Ravello e i capolavori di un viaggiatore

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Dal 1902 la magia di un racconto che celebra la bellezza della Costiera

"Storia di un panico": Forster, Ravello e i capolavori di un viaggiatore

Nel 1902, durante un viaggio in Costiera, E. M. Forster, scrittore del circolo di Bloomsbury e grande amico di Virginia Woolf, compone un racconto ambientato tra i sentieri dei Monti Lattari in cui il “panico” e l’irrazionale della bellezza irrompono come antiche divinità in un gruppo di turisti borghesi. Meraviglia che può accadere solo se si dimentica la furia del mordi-e-fuggi, a chi sa prendersi il tempo di farsi stregare dal nostro genio del luogo

Inserito da (Admin), mercoledì 14 agosto 2024 18:00:46

di Giovanna Amato

Edward Morgan Forster è notoriamente l'autore di Camera con vista e Casa Howard, capolavori della letteratura inglese di inizio ‘900 che hanno per tema la necessità di snellire le rigide convenzioni dei rapporti umani, le relazione tra i sessi e tra gli strati sociali. E di Passaggio in India, sui danni del colonialismo e dell'esterofilia senza criterio. Ma è anche autore di distopie (La macchina si ferma) e racconti fantastici (la raccolta L'omnibus celeste); il racconto che apre quest'ultima, pensato nel 1902 durante un viaggio a Ravello e pubblicato circa dieci anni dopo, ha il titolo di Storia di un panico e prova a mettere in scena l'irruzione dell'irrazionale, incarnato dal dio Pan, in un gruppo umano borghese in vacanza nella cittadina di Ravello.

Il gruppo di cui parla il narratore è alle prese con una scampagnata per castagneti sui colli che sovrastano la cittadina. Chi è stato a Ravello sa come si respiri, da quella loggia panoramica sulla costa sottostante, una sorta di magnifica tossina che attraversa architetture e dominazioni, passa per i Grand Tour e gli ospiti celebri (Wagner, Forster, Gide, Lawrence, Vidal...) fino alla celebre terrazza di Cimbrone, che dai giardini amati dal gruppo di Bloomsbury scaraventa gli occhi fuori da un parapetto a strapiombo sul mare. Il gruppo quindi cammina tra i castagneti - presumibilmente - di Scala, ed è variegato: si va da moglie e figlie del narratore alle signorine Robinson, dal curato Sandbach a Leyland, un antipatico aspirante artista. E infine Eustace, ragazzo pigro e capriccioso, incapace di nuotare e indifferente alla bellezza che lo circonda. È necessario trascinare Eustace alla scampagnata quasi di peso. Ed è lì, tra i filari che si aprono su scorci di mare centinaia di metri più in basso, che durante una piccola sosta inizia la storia di un panico. L'esperienza è descritta in ogni dettaglio con l'aiuto di una scrittura elastica, con una prosa che si contorce e si piega, una sintassi che si adatta; scene dinamiche, statiche, cambiamenti di ritmo, tutto a servizio di una folata di silenzio che annuncia la venuta di un Mistero. È confuso il confine tra animato e inanimato, come si vede nel vento che si muove a zampate. La paura che prende il gruppo è quella delle bestie, e tutti sono messi in fuga. Meno Eustace, che aveva trascorso la scampagnata a disturbare con uno zufolo. Che abbia evocato Pan o sia stato prescelto da lui, Eustace è stato l'unico a ricevere la visitazione comodamente disteso nella radura, ed è lì che viene trovato, allegro e pieno di energie - e circondato da impronte di capra - dai compagni tornati a cercarlo.

Nell'antichità il dio estraneo, maschio e femmina, vecchio e bambino (queste alcune delle caratteristiche di Dioniso, qui sovrapposto al suo tutore Pan), aveva due maniere di dominare con la sua mania chi entrava nella sua sfera di influenza: una frenesia felice o una follia mortale. La mente del ragazzo è spalancata, gioiosa, e solo Emmanuele, l'ignorante ragazzino ravellese, sembra capirlo per aver provato un tempo un'esperienza simile alla sua. Una volta rientrato negli schemi rigidi della vita borghese Eustace soffre, e lo dimostra scappando dalla sua camera d'albergo per sortite di notte in giardino, dalle quali rifiuta categoricamente di tornare cantando Wagner e scappando per i sentieri. Uno di questi, in anni recenti, dedicato allo stesso Forster dal Comune di Ravello.

"Eustace", gridammo tutti, "smettila, caro, smettila e vieni in casa."

Egli scosse la testa e ricominciò daccapo a... parlare, questa volta. Mai mi è capitato di udire discorso più straordinario che, in tutt'altro momento, sarebbe parso ridicolo. Avevamo dinanzi un ragazzo che, sprovvisto di senso estetico e con una padronanza di linguaggio tutta puerile, si buttava ad affrontare temi che hanno scoraggiato i più grandi tra i poeti. Ecco là, dritto nella sua camicia da notte, Eustace Robinson, quattordicenne, che leva il suo saluto, la sua lode e la sua benedizione alle grandi forze e manifestazioni della Natura.

Forster mette in scena qui l'incapacità della società del suo tempo di accogliere lo spirito vitale della natura, intesa come vera umanità. La sordità di chi è troppo legato alle convenzioni e non è disposto a ospitare l'Assurdo. I temi dei suoi più grandi capolavori covavano già in questo racconto, e a fargli da appoggio è il genius loci di Ravello, che Gide definiva la più bizantina del Ducato, estranea e divina alla Costiera tutta come le visitazioni di un dio panico.

 

(L'articolo integrale con forti modifiche è apparso sulla rivista letteraria Poetarum Silva nel 2016. In foto, la cripta di Villa Cimbrone, fotografia di Giulia Amato.)

 

Leggi anche:
Da Ravello a Fontana Carosa: sui passi dello scrittore E.M. Forster

Fonte: Il Vescovado

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